Non marziani ma umani
Ci sono due domande che, presto o tardi, si affacciano nella mente di un adolescente. In realtà la domanda è una sola, declinata in maniera diversa a seconda che a farsela sia un ragazzo o una ragazza: “Qual è il modello maschile a cui ispiro la mia vita?”, si chiedono i ragazzi. Le risposte a questa domanda possono essere tante ma una sola – e l’esperienza con centinaia di ragazzi me ne dà costantemente conferma – è quella che più di tutte può riempire il cuore di un adolescente: “mio padre”. E una ragazza, alla domanda su quale modello femminile ispira la sua vita, dovrebbe rispondere senza pensarci due volte “mia madre”.Iniziare questo articolo così può provocare in noi due effetti: il primo, di orgoglio; il secondo, più probabile, di paura. Come potrà mai rispondere in questo modo mio figlio, mia figlia, se sono pieno di difetti e di limiti? E, soprattutto, come potrà mai dare questa risposta quando sembra non praticare sport migliore che quello di mandarmi costantemente a quel paese?
In realtà, nonostante le fisiologiche dinamiche adolescenziali fatte di porte sbattute, urla isteriche e battute sarcastiche nei confronti dei genitori, i ragazzi non smettono mai di considerare papà e mamma un costante punto di riferimento per la loro vita. Solo questo dovrebbe far riflettere molto quei genitori che hanno sperimentato il dramma di una separazione dal proprio compagno di vita, su quanto a prescindere da tutto sia necessario continuare a fare i genitori; si può smettere di essere marito o moglie, ma essere padre o madre è una cosa che rimane per sempre.
I genitori sono un punto di riferimento costante e soprattutto unico, dicevamo. In realtà, non sempre ci rendiamo conto di quanto queste parole siano vere anche quando si diventa adulti. Tant’è vero che, molto spesso, una ferita importante e mai sanata nel rapporto con uno dei nostri genitori può rendere necessario l’intervento di uno specialista esterno che possa permettere al nostro cuore di trovare quella pace che non riusciamo ad ottenere in nessun modo.
Ma torniamo ai ragazzi ed al nostro essere modello per loro. Se la paura di non essere all’altezza ci può mettere una comprensibile ma ingiustificata ansia, proviamo a non dimenticare quello che realmente cercano i nostri figli: modelli non perfetti ma realistici, non falsi ma autentici, non marzianima umani. Un modello realistico, autentico, umano è un modello che non ha paura che si vedano i propri limiti, ma al contempo ha un enorme desiderio di dare il meglio di sé, e di darlo in maniera positiva.
In educazione, l’esempio positivo – che, ribadisco, non vuol dire non avere limiti e difetti – è sempre più efficace della critica negativa. E oggi lo è ancora di più, perché il mondo ha un estremo bisogno di modelli credibili. Pertanto, di fronte al figlio adolescente che riempie la stanza (o il suo cellulare) delle immagini dei propri idoli, dovremmo ricordarci sempre che mentre gli idoli passano noi rimaniamo sempre papà e mamma. E un papà e una mamma che invece di brontolare e criticare i giovani di oggisi sforzano di comprendere questo mondo così diverso da quello della loro adolescenza, hanno sui loro figli un’efficacia di gran lunga superiore. I figli ci guardano in maniera particolarissima e si aspettano da noi che facciamo i genitori, che significa sostanzialmente che gli mostriamo di amarli, anche quando mettono alla prova la nostra pazienza, che in realtà è un mettere alla prova il nostro amore per loro. Grande è la sorpresa, per esempio, quando leggo ai genitori le risposte che i loro figli tredicenni danno alla domanda “Chi sono tra gli adulti, le persone per te più significative? E perché?”. Quasi tutti i ragazzi rispondono che sono i genitori e i motivi sono sempre gli stessi: “perché mi vogliono bene, perché sono il mio punto di riferimento, perché so che potrò contare sempre su di loro, perché anche quando mi rimproverano so che lo fanno per il mio bene”. Chi ha letto il numero di marzo ricorderà alcune parole che ho citato a proposito di come i tredicenni guardano i loro genitori, parole che per comodità riporto anche adesso: «Mio padre sì che è un vero amico, perché so che non mi lascerà mai, mi starà sempre accanto nella vita, mi supporterà sempre». «Mio padre mi corregge se faccio degli sbagli e mi insegna a comportarmi da persona adulta». «Mia madre mi sostiene in tutto, mi dà degli ottimi consigli e mi aiuta quando sono triste e non ho voglia di fare niente. Anche se ha i suoi problemi li mette da parte per dedicarsi a me». «Mio padre è come un fratello, con lui mi confido e mi diverto. Non saprei come potrei fare senza di lui». Queste parole dovrebbero metterci una grande pace nel cuore. Qualche tempo fa ho letto Lettera ad un adolescente, di Vittorino Andreoli. C’è un passo della sua lunga lettera ad un immaginario adolescente in cui l’autore, parlando dei genitori e sapendo che in fondo al cuore ogni figlio è in grado di comprendere e sposare queste parole, scrive: “Mi piacerebbe pensare a tuo padre come a un educatore autorevole, ma se non è così, se non lo è, non sognare solo di andartene, ma pensa che tu stesso lo puoi aiutare, e non dimenticare mai che è quello che hai. E che ti vuole bene, magari a modo suo. Nella vita incontrerai tante persone, grandi amici; troverai l’amore, una bella ragazza che ti capisce o, se sei una femmina, un bel ragazzo che ti aiuti a vivere. Ma sappi che tuo padre e tua madre rappresentano l’unico esempio di chi ti vuole bene per sempre, anche quando sbagliano. E possono persino farti del male, volendoti bene.”
I ragazzi guardano sempre agli adulti, a chi è più grande di loro, e lo fanno per immaginare il loro futuro. La loro rabbia, le loro frustrazioni, le loro delusioni che spesso emergono nel comportamento ribelle mostrano tutta la delusione verso un mondo degli adulti dal quale si sentono traditi. Sembrerebbe che non sia una novità, dato che quella della contestazione è una reazione che negli adolescenti c’è sempre stata; ma in realtà una novità c’è, ed questa inedita globalizzazione della scomparsa di adulti che siano modelli credibili e da guardare per immaginare un futuro migliore. Il vero problema non è che i ragazzi siano attratti da modelli “trasgressivi” perché, ripeto, da che mondo è mondo è sempre stato così; il vero problema è il preoccupante vuoto che circonda gli attuali adulti a cui guardano gli adolescenti.
Per questo ed a maggior ragione, i genitori sono chiamati a costituire quei modelli credibili che, superata la normale fase della contestazione, rimarranno per i figli la luce che li aiuterà a coltivare la speranza in un mondo migliore. “Non esiste vento a favore per il marinaio che non conosce il porto di arrivo”, scriveva Seneca. Qual è il porto di arrivo che facciamo immaginare ai nostri ragazzi? Come li aiutiamo a sognare? Come li incoraggiamo a superare le difficoltà della vita, sapendo che comunque il porto è lì che li aspetta, nonostante le tempeste ed i venti impetuosi che soffiano contro?
Paradossalmente, proprio il contrasto con il nulla offerto dai modelli attuali può far risaltare di più il nostro essere punti di riferimento per i nostri figli: che si veda il nostro ottimismo, il nostro amarli – ed amarci tra genitori – nonostante le difficoltà, la nostra speranza, il nostro credere in ciò che è buono, bello e vero. Che si veda il nostro amore alla vita, che si senta il nostro chiedere scusa quando sbagliamo, che si tocchi con mano il nostro spenderci per loro e tutto ciò sarà molto più efficace di qualsiasi discorso possiamo fare ai ragazzi.
Saverio Sgroi
(fonte: lasfidaeducativa.it)